Queste le prime parole di Guido Martinetti e Federico Grom, che pronunciarono nel 2015, quando i due fondatori annunciarono di aver venduto Grom a Unilever. Orgogliosi di avere la possibilità di lavorare insieme ai migliori manager del Gruppo, perché erano certi che, grazie alle loro competenze e alla loro conoscenza dei mercati internazionali, sarebbero riusciti a realizzare un sogno, nato 12 anni fa, in un piccolo negozio al centro di Torino, e di poter portare il gelato italiano di qualità nel mondo.
Chiusa la storica location di via Cernaia a Torino, ma non solo, quattro saracinesche abbassate nel 2019, altre tre previste nel primo trimestre di quest’anno, la svalutazione delle gelaterie Grom è evidente. In Italia, mercato cruciale, Grom oggi ha 40 gelaterie, ne aveva 67 all’epoca della vendita. Il gruppo ha, sùbito ribattuto, e ha sottolineato di voler puntare su altri canali di vendita:
· Chioschi
· Biciclette gelato
· Grande distribuzione
· Bar
· Direct to consumer
Resta il dubbio di essere di fronte al caso di un’azienda “made in Italy” comprata e snaturata.
Dopo cinque anni dalla vendita, di quel piccolo negozio nel centro di Torino non è rimasto niente.
Il colosso olandese-britannico (Unilever), infatti, anziché continuare a puntare sulle gelaterie e su quell’aspetto artigianale del prodotto, che ne aveva decretato il successo, ha puntato sull’internazionalizzazione, la diversificazione dei prodotti (marmellate, confetture, prodotti da forno) e la grande distribuzione con la vendita dei barattoli di gelato nei banconi frigo dei supermercati. Un’operazione, quest’ultima, non proprio originale e che ha probabilmente indebolito la reputazione del prodotto che dalle gelaterie con le file chilometriche è passato ai banchi frigo di fianco ai surgelati. L’azienda sostiene che, dal 2015 al 2019 Grom è cresciuta tutti gli anni, con una crescita complessiva di circa il 50% se si considera il brand comprensivo di tutti i paesi e tutti i canali. Ma restano molti dubbi, tanto che già si comincia a parlare di un possibile addio dei due fondatori, di certo consapevoli che una volta venduto il marchio al gruppo dell’Algida, le cose sarebbero cambiate.